Con grande piacere riproponiamo un bell’articolo di Cosimo Piediscalzi su Siro di Pavia (Palestina, IV secolo – Pavia, IV secolo), già pubblicato nel 2015 sulle pagine del perento Archivio Flavio Beninati e nel 2016 sul quarto numero del periodico di approfondimenti I Quaderni di Eccegrammi. Buona lettura!
Alla volta di Siro di Pavia
Per ragioni che voglio considerare oscure, mi sono ritrovato a vivere presso la città di Pavia. Sono siciliano, nato il 15 agosto, ho un sistema organico che va a fotosintesi, ogni giorno io imiterei quell’Amenofis IV che si volge idolatrante al sole e dice “solo tu sei la vita medesima”, e come lui fonderei una gaia tirannia del sole, Eliolatria pura! Ebbene, un vincolato dell’Hélios come me, anziché ai Caraibi, finisce a Pavia? Ahimè si, sono in una gora al centro dell’Europa, 46.000 chilometri quadrati di pianura alluvionale. Sono nella terra della gens Papilia – l’antica Ticinum dei Romani, infossata in quella ex-palude malarica che riuscì persino a fare secchi gli elefanti di Annibale! Pavia è il mio cenobio e la sua nebbia mi garantisce una buona invisibilità. Ma quando la nebbia si dilegua, debbo ammettere che Pavia è una graziosa cittadina! E se ci scordiamo degli elefanti che ha fatto secchi; senza dubbio Pavia è una gemma del nord Italia. Un piccolo diamante la cui luce è un eco prolungato di una storia eccellente che è indiscutibile.
Città barbosa come nessuna. “Quando si ama qualcosa la si vive, quando si odia una cosa allora la si può solo analizzare” – è il mio motto di sopravvivenza. Pavia è piena di chiese, ed è anche piena di torri, quando una città italiana ha molte chiese e molte torri allora avrà anche tanti misteri. Guarda caso già le torri mi fanno scoprire che esse hanno assecondato un arcano, quello di un anziana veggente che aveva annunciato ai pavesi un profezia: “Colui che avrebbe innalzato la torre più alta avrebbe preso il potere della città”, e fu così che anno dopo si mitragliavano al cielo torri su torri. In genere, quando un luogo ha piccole storiografie simili, è prossimo alla benedizione o alla maledizione, chi la vincerà? Oggi questo match di torri è in
parte eclissato dalle trasfigurazioni edilizie; spesso falciate o inglobate in altri edifici. Questa leggenda delle torri mi porta dritto alle chiese, bingo! Ho trovato l’analisi da fare: si tratta di un ragazzetto citato pure nei Vangeli e nominato Siro. Mi spiegherà lui la natura bianca o nera di questa città?
Iniziamo: io che entro nel Duomo di Pavia e mi tuffo nei quadri seicenteschi di Carlo Sacchi e Filippo Abbiati, e raffiguranti sempre lui, san Siro. Immaginatemi elegantissimo, camicia e cravatta nera, cardiopalmo, scarpe logore. Piacere Siro! Siro è il patrono della città festeggiato qui il 9 dicembre, il 9 dicembre è una data cara anche ai Templari. Mi catapulto nei Vangeli e poi al fratello di Simon Pietro che dice: “C’è qui un ragazzo…”, si è lui! E’ il ragazzetto di origini siriache citato anche da San Giovanni Evangelista, è il ragazzo che tese a Cristo Gesù i pani e i pesci per il miracolo della moltiplicazione. Fu davvero Siro di Paviail ragazzino in questione? Seduto sulle ultime panche mi faccio queste domande. Sopra di me a fare scudo dei miei pensieri c’è una cupola a pianta ottagonale da brivido! Tra le più maestose d’Italia, 97 metri, 20.000 tonnellate di peso. E’ lui? Non è lui? Dunque, Siro da Pavia è per molti quel ragazzino dei 5 pani e 2 pesci, e che poi una volta adulto avrebbe seguito San Pietro alla volta dell’Italia, qui proprio su commissione di Pietro sarebbe stato mandato ad evangelizzare le genti della Pianura Padana, ed eccolo divenire primo vescovo di Pavia.
Questo è anche il Siro dell’origine e della leggenda: il Siro del “De laudibus Papiæ”, XIV secolo. E’ il ragazzino dell’apostolo Andrea: “Vi è qui un fanciullo con cinque pani d’orzo e due pesci, che cos’è mai questo per tanta gente?”. Poi, parallelamente a questo può esservi il Siro discepolo di Sant’Ermagora di Aquileia, che a sua volta fu discepolo di San Marco Evangelista. E la cronostassi inizia a farsi tortuosa: un profano può cominciare a smarrirsi tra una figura di Siro e un’altra. In difesa del Siro giunto qui con Pietro, vi sono però anche fonti particolari, Innocenzo I in una sua Decretale precisa gli “invitati diretti da Pietro”, tra questi spunta Ermagora dopo Marco ad Aquileia e anche lui, Siro mandato a Pavia. Nel XIX secolo, altre fonti ci attestano che nessuno, fuorché coloro consacrati Vescovi da San Pietro, fondarono Chiese in Italia. Se le fonti si faranno lotta spesso, finisci per scoprire che anche i Cataloghi Vescovili hanno tirato qui e là qualche dado – senza malizia vi sarà stato un’ovvio vantaggio per la Sede Vescovile incensare origini apostoliche – qualora Siro incespicasse qui e là con le date, lo si fa morire alla bellezza di 112 anni. Più 56 di Episcopato! Qui è il
Siro del I secolo che insomma la vince, o no? Che confusione!
Questo santo inizia a tormentarmi. La stessa notte sogno di parlare con un monaco, ci ritroviamo davanti al ponte coperto di Pavia, lì il monaco mi mostra una targa con dei numeri dove mi spiega che la città è maledetta per mano di un eletto. (Nella realtà mi accerterò che non esiste nessuna targa su quel ponte). Mi sveglio contrariato. Di pomeriggio visito la chiesa più antica di Pavia, la basilica di Santi Gervasio e Protasio, edificata proprio da Siro. Questa sorgeva in una zona fuori dall’antica Pavia, qui venne a rintanarsi anche San Martino e proprio qui per 600 anni furono conservate le spoglie mortali di Siro. Mi piace subito il posto, qui erano di casa i benedettini, poi i francescani, qui vi era una specie di gerocomio per i pellegrini.
C’è odore di fiori bagnati, e oltre a me c’è solo un vecchio che se non sta dormendo allora è morto. Esco e penso che capire su due passi l’identità di Siro non mi sarà facile. Recupero fonti a man bassa, finisco per imbattermi persino nei testi di un francescano del ‘600, qui si loda a tutto spiano Siro operante addirittura dei miracoli – un uomo cieco dalla nascita, residente a Lodi, grazie a Siro ritornò a vedere – e poi memorie, tante, più o meno vere, di un Siro ancora nella terra di Cristo, che ha un incontro presso il Monte degli Ulivi con l’apostolo Andrea. Secondo Bernardino da Casteggio, quello era proprio il dì della resurrezione del
Messia, e Andrea svelò il futuro a Siro.
Costui era ancora giovane e ricordava già con malinconia l’incontro con Gesù avuto da bambino. L’apostolo Andrea rasserena Siro, profetizzando per lui un lungo viaggio di cristianizzazione in Italia. E’ singolare quando l’apostolo descrive Pavia come un paradiso a totale disposizione del giovane Siro – “luogo incantevole ricco di fiumi immacolati e di sorgenti, di campi verdeggianti e di frutti, di soli primaverili e prati ridenti”. Non c’è che dire, un Eldorado!
Nel testo è narrato persino il viaggio, l’approdo a Verona, le strade e il percorso sino alle mura pavesi. Vi è pure una descrizione dell’entrata di Siro a Pavia, con i cittadini in festa che lo accolgono bramosi del battesimo. Qui Siro è tutt’altro che malaugurante, egli rinfranca gli astanti con un monito prodigioso: “questo luogo è da adesso caro a Dio, gioite”. E’ agiografia estrema o realtà? A Milano per esempio esiste un
reperto archeologico di un misterioso personaggio siriano chiamato appunto Sirus-Siro, e parliamo del primo secolo. Il tutto è all’Antiquarium dell’Anfiteatro Romano: sotto il ritratto la scritta – SEX(to) COELIO SEX(ti) F(ilio) SUR(o) MEDIOLANENSI.
Torniamo al Siro dei Vangeli? Sorrido quando vengo a sapere che dall’anno 1969 san Siro non è più annoverato nel calendario dei santi della Chiesa cattolica, e perchemmai? Quante impervietà questo santo! Penso. Quasi un “santo maledetto”? Ed eccomi, solito indovino a tempo perso. Capirò di aver detto l’aggettivo giusto solo qualche ora più tardi, dentro una piccola libreria che gestisce un vecchio. Dentro non vi è anima viva, io giro tra gli scaffali contenenti per lo più testi usati e giallo-canarino. Poi tento un dialogo con il proprietario: “Cercavo qualcosa che riguardi san Siro, qualcosa di antico” – “Qualcosa c’è si, puoi guardare qui…” – e gli vado appresso, scombussola un po’ di libri in un ripiano, la polvere è sovrana, poi sbaglia e me ne porge uno con Sant’Ambrogio, io non dico nulla. Tra la sua ricerca poco convinta, sbuca pure un libricino con un titolo che mi incuriosisce.
Glielo prendo dalle mani: “Perché dice maledizione? Che significa?” – lui sorride e fa un gesto con la bocca imbronciata – “va là, è una leggenda, poi con la Torre caduta…”. Io annuisco ma non ci capisco granché. Lì per lì la parola torre non mi aveva suggerito nulla. Il vecchio mi annoia, la polvere dei libri mi rende isterico. Non prendo nulla, memorizzo soltanto alcune pagine.
Scannerizzo tutto con gli occhi. Saluto e filo via. Appena fuori però, realizzo la mia frase azzeccata sul santo – “maledetto” – che sia vero allora? Maledetto e maledizioni? Non bastava già la nebbia? Siro ha persino lanciato esecrazioni? Ha “maledetto la povera Papilia” che a detta di quel frate l’aveva accolto in festa? Giorni dopo inquadro tutto meglio, inclusa quella “torre” a cui si riferiva il libraio. Costui intendeva chiaramente la fine della torre Civica sull’angolo settentrionale della facciata del Duomo! Essa cadde senza alcun apparente motivo, un Venerdì 17 del mese di marzo, era il 1989, crollò alle 9 di mattina e causò addirittura 4 morti. Inutile dire che, immediatamente, ripenso allo strano sogno di una notte fa e la targa funesta sul ponte indicata dal monaco. Inizio quasi a sorprendermi. Effettivamente, un fondo di jettatura c’era – scopro che il misterioso Siro, secondo una nota leggenda, ebbe a dire ai suoi fedeli: “attenti! Perché tutto ciò che costruirete con sacrificio non resterà”, caspita! Il mio sogno!
C’è poi Carlo Mo, uno scultore pavese che scovo per caso indagando sui dossier del cedimento, egli conferma: “la Torre era destinata a crollare perché essa era maledetta”. Esco dal Duomo, istintivamente ora volgo lo sguardo lì dove sorgeva la torre, adesso è solo un recinto torbido con le rovine del basamento a ricordare quel venerdì 17. Vi passo davanti. Vado via pensieroso. Il cielo è un inferno. Corso Cavour, l’odioso shopping, vetrine infiorettate a festa, manichini e commesse-zombie, cani al guinzaglio, uno straniero che elemosina suonando Ravel con la fisarmonica, cammino dritto. “Avrà davvero funestato questo posto il santo in questione?” – me lo domando fino a Piazza Minerva. E a rispondermi, è proprio lei, la Minerva! Intanto diciamo che questa colossale statua è la prima cosa vista appena giunto qui – mi spiace essere lagnoso ma, la detesto – l’autore è un mio conterraneo, è colui che ha fatto anche quell’equino verde-gastrico della Rai, quello ormai simbolo di Viale Mazzini, insomma Francesco Messina. Mai sopportato.
E fatalità vuole che sia lui a rispondermi? Ha un che di maledetto Pavia? Ho un illuminazione! Mi accorgo che lo scultore ha eretto qui questa Athena Parthenos ma, cos’ha fatto? Ha assecondato i presagi del caro Siro? Vediamo come: la mitica Dea è un icona famosissima, essa è la Dea vittoriosa contro l’ignoranza, insieme a Giove e Giunone è una triade perfetta per i Romani, ed è sempre stata rappresentata con la sua lancia vincente rivolta ovviamente verso l’alto, e così ha fatto anche Fidia nel Partenone ad esempio, ma qui davanti a me cosa vedo? Una Minerva che non impugna la lancia con l’apice rivolto in alto bensì in basso! Proprio così! La punta della lancia mira al suolo, per terra, sulla testa di chi vi passa sotto. Una mossa questa che ribalta, inverte e capovolge l’augurale trionfo della Dea e tutta la sua iconografia.
Insomma è una Minerva alla rovescia? Sorrido invasato, quasi vorrei comunicare la cosa al primo passante che incrocio. Ma a che serve? Tra i passanti aguzzo l’occhio; è un attimo, un flash, un tizio con la barba più lunga della mia sembra quel monaco che ho sognato. Rabbrividisco. Lo perdo subito di vista, mi agito, inizia a piovere, di colpo sento che la mia modesta analisi su Siro finisce qui: sarà stato davvero l’eletto maledicente? Spero di no.
Copyright 2015 © Archivio Flavio Beninati / Cosimo Piediscalzi
Immagine: Particolare dell’affresco della volta del presbiterio
Fonte: Amici Santa Maria. Sito: santamariaesansiro.it