Da quando è riemerso dai polverosi archivi dell’Accademia, si fa un gran dibattere su questo inno “A Satana” di Giosuè Carducci.
C’è chi l’interpreta come uno scritto goliardico e chi come un guanto di sfida ai bigotti. C’è chi ne difende il diritto sacrosanto di esternazione di una fede e chi invece si ostina a volerlo interpretare con intricati raggiri di parole, come quasi sempre gli esegeti fanno con i Testi Sacri.
Qualunque sia l’interpretazione giusta, c’è da dire che Carducci non è né il primo né l’unico. Gli fanno buona compagnia Baudelaire e William Blake, Gide e Milton, tra i tanti. Tutta gente che al diavolo ha dedicato pagine di appassionato ardore, talvolta ricalcando gli uni gli altri, come stessero seguendo le regole d’un canone poetico vero e proprio.
Fatto sta che anche questo grande poeta della nostra formazione, il Carducci che noi tutti conosciamo sin dai giorni spensierati delle prime scuole, qualche anno prima delle rime innocenti di Pianto antico aveva messo nero su bianco il suo inno al demonio.
Cosa di cui la maestra doveva certamente essere all’oscuro mentre col cuore gonfio di ammirazione ci spiegava le immagini bucoliche e vagamente elegiache di San Martino, col suo svolazzar di uccelli (neri) e la sua nebbia che risale la collina lasciando al vino e al vento fare il resto; o quelle di Nevicata o di Alla stazione in una mattina d’Autunno, di Nostalgia o de Il bove e tutte le altre poesie che erano valse all’Italia il suo primo Nobel; tutte da rileggere, adesso, sotto una luce nuova, luciferina. Quella di un mondo che il poeta di Pietrasanta appena ventottenne, un’ispirata notte fiorentina del settembre del 1863, volle fissare in versi (pure piuttosto insulsi).
La stessa ispirazione che un secolo e mezzo prima aveva “regalato” al compositore Giuseppe Tartini la celeberrima Sonata per violino in sol minore, più conosciuta come Il trillo del diavolo. Una notte del 1713, infatti, il Cornuto gli era apparso in un sogno che lo stesso Tartini racconterà nei dettagli:
«Una notte sognai che avevo fatto un patto e che il diavolo era al mio servizio. Tutto mi riusciva secondo i miei desideri e le mie volontà erano sempre esaudite dal mio nuovo domestico. Immaginai di dargli il mio violino per vedere se fosse arrivato a suonarmi qualche bella aria, ma quale fu il mio stupore quando ascoltai una sonata così singolare e bella, eseguita con tanta superiorità e intelligenza che non potevo concepire nulla che le stesse al paragone. Provai tanta sorpresa, rapimento e piacere, che mi si mozzò il respiro. Fui svegliato da questa violenta sensazione e presi all'istante il mio violino, nella speranza di ritrovare una parte della musica che avevo appena ascoltato, ma invano. Il brano che composi è, in verità, il migliore che abbia mai scritto, ma è talmente al di sotto di quello che m'aveva così emozionato che avrei spaccato in due il mio violino e abbandonato per sempre la musica se mi fosse stato possibile privarmi delle gioie che mi procurava.»
Che sia solo un vezzo, un gioco, la prova di ammissione a una setta segreta o un atto di sincera devozione poco importa. Fatto sta queste composizioni sopravvivendo ai loro autori serpeggiano ancora oggi tra le pagine della letteratura.
Qui di seguito Carducci e Baudelaire:
A Satana
di Giosuè Carducci
A te, de l'essere Principio immenso, Materia e spirito, Ragione e senso; Mentre ne' calici Il vin scintilla Sí come l'anima Ne la pupilla; Mentre sorridono La terra e il sole E si ricambiano D’amor parole, E corre un fremito D’imene arcano Da’ monti e palpita Fecondo il piano; A te disfrenasi Il verso ardito, Te invoco, o Satana, Re del convito. Via l’aspersorio Prete, e il tuo metro! No, prete, Satana Non torna in dietro! Vedi: la ruggine Rode a Michele Il brando mistico, Ed il fedele Spennato arcangelo Cade nel vano. Ghiacciato è il fulmine A Geova in mano. Meteore pallide, Pianeti spenti, Piovono gli angeli Da i firmamenti. Ne la materia Che mai non dorme, Re de i fenomeni, Re de le forme, Sol vive Satana. Ei tien l’impero Nel lampo tremulo D’un occhio nero, O ver che languido Sfugga e resista, Od acre ed umido Pròvochi, insista. Brilla de’ grappoli Nel lieto sangue, Per cui la rapida Gioia non langue, Che la fuggevole Vita ristora, Che il dolor proroga Che amor ne incora. Tu spiri, o Satana, Nel verso mio, Se dal sen rompemi Sfidando il dio De’ rei pontefici, De’ re crüenti: E come fulmine Scuoti le menti. A te, Agramainio, Adone, Astarte, E marmi vissero E tele e carte, Quando le ioniche Aure serene Beò la Venere Anadiomene. A te del Libano Fremean le piante, De l’alma Cipride Risorto amante: A te ferveano Le danze e i cori, A te i virginei Candidi amori, Tra le odorifere Palme d’Idume, Dove biancheggiano Le ciprie spume. Che val se barbaro Il nazareno Furor de l’agapi Dal rito osceno Con sacra fiaccola I templi t’arse E i segni argolici A terra sparse? Te accolse profugo Tra gli dèi lari La plebe memore Ne i casolari. Quindi un femineo Sen palpitante Empiendo, fervido Nume ed amante, La strega pallida D’eterna cura Volgi a soccorrere L’egra natura. Tu a l’occhio immobile De l’alchimista, Tu de l’indocile Mago a la vista, Del chiostro torpido Oltre i cancelli, Riveli i fulgidi cieli novelli. A la Tebaide Te ne le cose Fuggendo, il monaco Triste s’ascose. O dal tuo tramite Alma divisa, Benigno è Satana; Ecco Eloisa. In van ti maceri Ne l’aspro sacco: Il verso ei mormora Di Maro e Flacco Tra la davidica Nenia ed il pianto; E, forme delfiche, A te da canto, Rosee ne l’orrida Compagnia nera, Mena Licoride, Mena Glicera. Ma d’altre imagini D’età più bella Talor si popola L’insonne cella. Ei, da le pagine Di Livio, ardenti Tribuni, consoli, Turbe frementi Sveglia; e fantastico D’italo orgoglio Te spinge, o monaco, Su ‘l Campidoglio E voi, che il rabido Rogo non strusse, Voci fatidiche, Wicleff ed Husse, A l’aura il vigile grido mandate: S’innova il secolo Piena è l’etade. E già già tremano Mitre e corone: Dal chiostro brontola La ribellione, E pugna e prèdica Sotto la stola Di fra’ Girolamo Savonarola. Gittò la tonaca Martin Lutero: Gitta i tuoi vincoli, Uman pensiero, E splendi e folgora Di fiamme cinto; Materia, inalzati: Satana ha vinto. Un bello e orribile Mostro si sferra, Corre gli oceani, Corre la terra: Corusco e fumido Come i vulcani, I monti supera, Divora i piani; Sorvola i baratri; Poi si nasconde Per antri incogniti, Per vie profonde; Ed esce; e indomito Di lido in lido Come di turbine Manda il suo grido, Come di turbine L’alito spande: Ei passa, o popoli, Satana il grande. Passa benefico Di loco in loco Su l’infrenabile Carro del foco. Salute, o Satana, O ribellione, O forza vindice De la ragione! Sacri a te salgano Gl’incensi e i vóti! Hai vinto il Geova De i sacerdoti.
Le litanie di Satana
di Charles Baudelaire
Tu, che sei il più saggio e il più bello degli Angeli, Dio tradito dalla sorte e privato di lodi, Satana, abbi pietà della mia lunga miseria! Principe dell’esilio, al quale s’è fatto torto, e che, vinto, sempre più forte risorgi, Satana, abbi pietà della mia lunga miseria! Tu, che sai tutto, gran re delle cose sotterranee, guaritore familiare delle umane angosce, Satana, abbi pietà della mia lunga miseria! Tu, che perfino ai lebbrosi, ai paria maledetti, insegni con l’amore il gusto del Paradiso, Satana, abbi pietà della mia lunga miseria! Tu, che da quella vecchia e forte tua amante ch’è la Morte generasti quella Speranza pazza e seducente, Satana, abbi pietà della mia lunga miseria! Tu, che dai al proscritto quello sguardo calmo e altero che danna tutto un popolo intorno a un patibolo, Satana, abbi pietà della mia lunga miseria! Tu, che sai in quali angoli di terre gelose il Dio geloso nascose le pietre preziose, Satana, abbi pietà della mia lunga miseria! Tu, con l’occhio chiaro che conosce i profondi arsenali dove dorme sepolto il popolo dei metalli, Satana, abbi pietà della mia lunga miseria! Tu, con la mano larga che nasconde precipizi al sonnambulo errante sull’orlo d’edifici, Satana, abbi pietà della mia lunga miseria! Tu, che come un mago rendi elastiche le vecchie ossa del ritardatario ubriacone calpestato dai cavalli, Satana, abbi pietà della mia lunga miseria! Tu, che per consolare il debole che soffre c’insegnasti a mischiare lo zolfo ed il salnitro, Satana, abbi pietà della mia lunga miseria! Tu, che stampi il tuo marchio, complice sottile, sulla fronte dello spietato e vile Creso, Satana, abbi pietà della mia lunga miseria! Tu, che metti in occhi e cuore di ragazze il culto delle pieaghe e l’amore per i cenci, Satana, abbi pietà della mia lunga miseria! Bastone degli esuli, lampada degli inventori, confessore degli impiccati e dei cospiratori, Satana, abbi pietà della mia lunga miseria! Padre adottivo di quanti Dio Padre cacciò nella sua nera collera dal paradiso terrestre, Satana, abbi pietà della mia lunga miseria! Preghiera Gloria e lode a te, Satana, nell’alto dei Cieli, ove regnasti, e nel profondo dell’Inferno, ove, vinto, sogni in silenzio! Fa’ che un giorno la mia anima riposi accanto a te sotto l’Albero della Scienza, quando sulla tua fronte, come nuovo Tempio, si spanderanno i rami!